“Non è un gioco il carnevale”, Non lo è certo per chi lo organizza. Se avete la fortuna di andare a Viareggio ad ammirare i carri e a divertirvi ai rioni e ai corsi mascherati non sottovalutate la macchina organizzativa che ci sta dietro. Così come nelle grandi classiche fiere toscane: dalla Fiera di Scandicci al Perdono di Terranova Bracciolini. Grandi feste popolari, orgogli paesani, motivi di incontro, di divertimento di shopping, che richiedono uno sforzo davvero imponente.
Quando ho ideato Jobbando avevo sottovalutato tutto questo. Invece una fiera è un macchinario fatto di mille variabili che devono incastrarsi perfettamente perché tutto funzioni.
Il programma in primis. Quanti giorni dura, quali giorni, che iniziative si terranno, dove, e per ogni singolo happening entrare nel dettaglio dei protagonisti, delle attrezzature che occorrono, gli spazi, il target a cui si riferisce. Passi poi per gli allestimenti. Interno, esterno, barriere, transenne, spazi per i truck. E gli aspetti burocratici e logistici. Parcheggi, bus navetta, servizi, permessi, sicurezza, che dopo i fatti di Torino si sono ulteriormente complicati. E infine? Tutto questo va venduto. Trovare gli espositori, far capire loro il valore aggiunto, trovare il prezzo giusto, accontentare le esigenze di tutti i clienti. Organizzare fiere è un vero e proprio lavoro, complesso che richiede una capacità di coordinare professionalità molto differenti tra loro.
E se fiera è l’animale selvaggio da domare, fiera è anche come si sente una persona quando la manifestazione che ha organizzato ha un successo che si ripete nel tempo. Come avviene per la Mostra dell’artigianato a Firenze.
E se da un lato questi eventi spesso sono legati alla tradizione dall’altro portano con sé tanta innovazione che va dal modo di comunicarle, alla digitalizzazione di tanti aspetti, al pensare nuove metodologie di erogazione e nuovi contenuti.
La prossima volta che mangiate un pezzo di croccante o un brigidino, che lanciate coriandoli, che comprate un oggetto di artigianato etnico pensate a tutto il lavoro che c’è stato dietro perché il padre di Branduardi potesse comprare un topolino all’ingrato figlio che se lo è fatto mangiare dal gatto e ha scatenato una reazione a catena fuori controllo.
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