“La mattina del 16 aprile il dottor Bernard Rieux, uscendo dal suo studio, inciampò in un sorcio morto, in mezzo al pianerottolo”. Inizia tutto da questo neutro, insignificante ma insolito rinvenimento. I topi diventano due, tre, poi dieci. Si trovano, sporchi di sangue, a centinaia in tutti gli stabili e le vie di Orano. La gente incomincia a essere inquieta ma poi, finalmente, la moria di topi si arresta. “La città – scrive Camus – respirò.” Per poco. Iniziarono a sentirsi male gli esseri umani: il primo fu Michel, portiere del condominio in cui era stato trovato il topo. I sintomi inizialmente non furono associati a una malattia in particolare. In seguito altre persone accusarono gli stessi malori e Rieux incominciò, da medico esperto, a chiedersi cosa avessero in comune e a cosa potessero ricondursi. Man mano che i numeri dei malati aumentavano e i sintomi si ripetevano – stato di astenia, gangli ingrossati e in suppurazione, febbre – lo scenario si faceva più minaccioso. “La somma era paurosa. In pochi giorni appena, i casi mortali si moltiplicarono, e fu palese a quelli che si preoccupavano dello strano morbo che si trattava di una vera epidemia.”[1]
Come possiamo uscirne vincenti?
Quelli che stiamo attraversando sono giorni difficili, che ci pongono una sfida non solo dal punto di vista sanitario (sicuramente più urgente) , ma anche da un punto di vista personale senza tralasciare quello socio-economico dal quale dipendiamo profondamente.
L’evento così come si sta presentando, non può essere visto solo come una parentesi, la cui conclusione-che tutti speriamo essere il più vicina possibile-debba riportarci esattamente allo status quo da cui proveniamo.
Da questa esperienza dobbiamo imparare a costruirci e a ripensare un nuovo modo di stare al mondo.
Questa pandemia, è un evento così particolare, che ha messo il mondo intero di fronte alla paura, immobilizzandolo per combattere un nemico invisibile.
I decreti cominciano a susseguirsi e le aziende sempre più disorientate si vedono costrette a mettere in campo misure molto restrittive o addirittura a chiudere.
Solo qualche settimana fa tutto sembrava procedere normalmente, l’idea del virus, delle protezioni e delle sanificazioni erano lontane chilometri da noi, in una Cina che ci appariva distante e noi ci sentivamo immuni. Continuavamo a stringerci la mano, le aziende erano piene di gente che lavorava gomito a gomito, condividendo caffè e pause pranzo.
Ma il tempo di accendere la tv e seguire un tg e il collega che ieri abbracciavi, con cui condividevi gran parte della giornata, organizzavi tornei e cene deve starti distante un metro, il volto viene coperto da sterili mascherine che limitano anche le nostre emozioni, i sanificati per disinfettare compaiono in ogni angolo delle aziende, cominciando ad avvertire l’altro come un ipotetico pericolo.
Tutto questo però, ci deve invitare a non attendere passivamente il tramonto di questo momento, ma a renderlo occasione di riscoperta di valori e nuovi modi di vivere, relazionarci, lavorare e stare al mondo.
Sono giorni in cui abbiamo capito il valore di un abbraccio, l’importanza di una stretta di mano, i limiti nel porre le distanze.
Ecco, quando finalmente il tanto aspirato smart working ha preso la meglio, il divano e i nostri tavoli hanno preso la forma dei nostri uffici, ci rendiamo conto che le relazioni interpersonali sono la migliore operatività, rinasce così la necessità di vederci (whatsapp non ci basta più…), le web conference sono più utilizzate delle telefonate…l’umanità ha ripreso il sopravvento.
È da qui che dobbiamo ripartire, da questa umanità riconquistata, da questa nuova normalità.
L’evento, sfida così l’individualità e l’intera collettività, costringendoci a pensare in maniera diversa noi stessi, gli altri e il mondo.
Lontano dall’essere un accadere solamente negativo, questo avvenimento può essere l’occasione di un’esperienza trasformativa per ciascuno di noi.
E cosi sì, #andràtuttobene.
[1] “La peste” di Albert Camus, pubblicato nel 1947.
Concordo con l’affermazione che “tutto NON sarà come prima”
Anzi immagino che debba essere un punto di cesura, di cambiamento, se non di ripartenza
Immaginare, pensare, studiare nuove modalità se non strade…
Saluti