Nelle righe del suo celebre romanzo Dostoevskij si chiedeva se la “bellezza salverà il modo”, non la politica e nemmeno Dio, non la scienza e tantomeno l’uomo: solo la Bellezza salverà il mondo.
La bellezza ha davvero l’energia giusta per condurre l’uomo fuori dalla depressione esistenziale; perché la bellezza nella sua indefinibilità serve a mostrare la complessità del mondo e la limitatezza di chi lo osserva.
Bello e brutto non sono quindi solo parole, ma la sostanza di cui è fatto il nostro metro di giudizio, modificando la percezione del mondo che ci circonda.
Che cos’è la bellezza è indicibile e per ovviare a questa non comprensione l’uomo ha calato il bello assoluto nella sua vita quotidiana facendone un costrutto sociale che si modifica a seconda del contesto in cui viene calato (e alle mode cui viene sottoposto e a cui si allea).
La bellezza così come viene intesa è una mera omologazione della folla: bisogna essere belli perché tutti lo sono, ma per esserlo bisogna ugualizzarsi alla massa; per farlo bisogna seguire stringenti regole giungendo ad essere una certa cosa. Proprio nella parola cosa si nasconde la fregatura: l’uomo per essere bello si reifica, nascondendosi dietro una ceretta, una dieta, un abitino di marca e all’ultimo grido.
Quanto davvero conta l’aspetto esteriore di un individuo e in che modo influisce con la percezione che gli altri hanno di lui? Ma soprattutto da quando e quanto è diventato importante apparire?
L’uomo, il creatore di tutto il panorama artificiale terrestre, in grado di sviluppare macchine complesse e intelligenti in continuo e instancabile miglioramento, l’uomo contemporaneo che può innalzare città, sorvolare oceani e approdare sulla luna, arrossisce di fronte alle macchine e ai computer prodotti dalle sue stesse mani e gli permettono di fare ciò che fa.
Si, l’uomo è a disagio perché non è una macchina, è nata donna, è mortale e sostituibile nel ruolo che svolge e che occupa nel mondo.
Appariamo totalmente insoddisfatti e sopraffatti dall’inadeguatezza di questo tipo di esistenza che facciamo di tutto per renderci tutti uguali: trattamenti estetici, make-up e nascita di mode kitsch sempre più spinte ne sono l’esempio, pelle perfetta, muscolatura scolpita, unghia perfette come l’hardware del cellulare che si sfiora.
Vogliamo essere alla pari delle macchine che maneggiamo, dalla vita soda e levigata (plastificata) con cui abbiamo a che fare.
Ecco che il nudo non è più quello svestito ma quello non levigato, naturalmente tutto questo sistema aggrovigliato produce conseguenze psicosociologiche, stress e inadeguatezza.
Ma ciò che deve farci riflettere è che ogni società ha i propri costrutti o canoni estetici; difficilmente ad un micronesiano piacerà una modella di Vogue, ma neanche una donna papuana troverà mai interessante un maschio da sfilata parigina; ecco che si comprende subito che in ogni società l’immagine del bello è radicata nella cultura ed equivalente a ciò che è generalmente riconosciuto come bello. Non ovunque il bello è uguale.
All’interno di una società definita, la concezione di bello o brutto sono concetti “oggettivi” perché garantiti dal modello sociale in cui sono inseriti.
Dobbiamo quindi imparare a ridurre lo stress, ad alleggerirci dagli orpelli con cui la società ci descrive….dobbiamo imparare ad assaporare il bello di una diversità non precostituita.
Ciò che noi allora chiamiamo brutto e atipico dobbiamo imparare a leggerlo come straordinario e originale.
Facciamo vincere l’unicità e la particolarità e le caratteristiche singole di ognuno di noi…
Allora si, che la Bellezza ci salverà!!
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