Io proprio non ci riesco, è più forte di me: le riunioni sono una droga. Sarà questa dannata cosa della solitudine dell’imprenditore, sarà che mi piace stare in compagnia, che in ufficio da solo a volte mi annoio, ma proprio non riesco a fare a meno di indire, condurre, programmare, posticipare, annullare e riorganizzare riunioni. E non mi limito a me, ma pretendo che anche gli altri le organizzino con i loro collaboratori.
Ma nonostante sia un maniaco e un fiero sostenitore delle riunioni, non riesco a renderle efficaci. Alla fine di ciascun incontro resto sempre un po’ con l’amaro in bocca; con la sensazione che il messaggio non sia arrivato, che i compiti non siano chiari, che tutto continuerà come se non lo avessimo mai fatto. E le ho provate tutte, ve lo assicuro!
Partendo dalla pianificazione: abbiamo iniziato con riunioni a richiesta, quando c’è bisogno le facciamo. Al caffè, davanti alle scrivanie mentre gli altri tentano di concentrarsi o sono impegnati in una conversazione telefonica; in auto mentre cerchi la strada o provi a guidare correttamente; fino ad arrivare a intrattenerci sulla soglia del bagno: qui abbiamo capito che non avremmo potuto andare oltre senza conseguenze ed abbiamo deciso di programmarle. Come spesso capita da un estremo si passa all’altro. Così ho intasato i calendari delle mie colleghe pianificando ad inizio anno le riunioni per i 365 giorni successivi. Ma Agosto, Natale, ponti e poi agende settimanali e impegni improrogabili che inevitabilmente facevano calare la partecipazione o annullare l’evento.
Passando alla metodologia: la colazione di lavoro! Facciamo a pranzo così non perdiamo tempo. Risultato: abbiamo fatto la felicità di paninari, pizze a taglio e ditte di consegna pasti a domicilio e abbiamo imbrattato documenti, rovesciato bibite sui pc, parlando perlopiù di temi ludici. Abbiamo seguito le nuove mode: gli stand-up e walking meeting. L’acido lattico nel nostro caso però non ci rende meno prolissi. In piena euforia da industria 4.0 ci siamo affidati alle moderne tecnologie digitali: conference call e skype meeting, finendo a passare metà della riunione cercando di stabilizzare la connessione e l’altra metà a ripetere le cose dette quando credevamo che i nostri colleghi lontani fossero ancora in ascolto.
Arrivando ai contenuti: facciamo riunioni kanban di coordinamento, decisionali, analitiche e motivazionali. Ma le mescoliamo tutte. Così quando dovremmo allinearci ci motiviamo, decidiamo prima di analizzare e parliamo tanto, tutti, più o meno sempre delle stesse cose e, che si sia d’accordo o si respiri del dissenso, c’è sempre la sensazione di essere inconcludenti. La prima riunione di ogni anno ha un ordine del giorno, viene redatto un verbale e abbiamo un file dove riportiamo i compiti da eseguire e le persone a cui sono stati assegnati. Dalla seconda si perde il file, dalla terza il verbale, la quarta ci ritroviamo senza ricordarci nemmeno perché. Difficile riuscire a mantenere una riunione oltre la quinta edizione.
Concludendo con i tempi: Le riunioni non iniziano mai all’orario stabilito. Da noi è indicativo, retaggio del quarto d’ora accademico. All’orario concordato però parte il solito rituale che inizia con l’individuare dove sarà possibile svolgere la riunione. Segue il rastrellamento di tutti gli invitati sparsi per la sede, che hanno sempre un’ultima cosa urgente da fare e poi vengono. Chiami al telefono chi non riesci a reperire fisicamente per sapere dove sia disperso e puntualmente qualcuno non si era segnato la cosa o ha avuto un contrattempo e non potrà prendervi parte.
Davvero non riesco a capire perché non riesca a far funzionare i nostri incontri operativi. Eppure abbiamo fatto anche una riunione con quell’esperta che ci diceva le regole per renderle efficaci. Adesso francamente non le ricordo anche perchè mentre lei parlava dovevo rispondere alle mail di lavoro sul mio smartphone.
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