Sei motivi per cui non sono un fan del modello Silicon Valley:
- I garage in Italia costano troppo. E averne uno è un lusso così importante che sarebbe sprecato usarlo per crearci un’azienda e non parcheggiarci la macchina.
- La tecnologia. La odio. Ti promette di risolvere i tuoi problemi invece finisce per creartene di diversi.
- Mi rode infintamente che un’idea raccontata in un elevator pitch di pochi minuti con un grafico dei guadagni che, come Buzz Lightyear, tende all’infinito e oltre possa valere dieci o cento volte di più della mia società con 30 anni di storia, una crescita lenta ma costante e con un ebitda che non avrà cifre da capogiro, ma tutto sommato ci può stare.
- Un’idea non basta. Se mi avessero dato un euro per ogni mia idea che ho ritenuto geniale, Jeff Bezos di Amazon sarebbe un poveraccio. Serve l’execution, ovvero occorre realizzarla e molto spesso alle startup mancano le competenze per rendere un buon progetto un’impresa.
- Siamo onesti, molte startup innovative sono il sistema di outplacement con cui le università parcheggiano ricercatori in eccesso o sfruttano laureandi geniali.
- Ma la cosa che meno mi piace delle startup è che molti la confondano con una azienda appena nata. Non è così. Le startup sono un modello finanziario. Il loro scopo è “scalare”. Devono aumentare fatturato e marginalità e ripagare l’investimento di chi ha creduto in loro. L’azienda no. L’azienda può sopravvivere, dando da mangiare a chi ci lavora, non è costretta a crescere costantemente. Un’azienda ha (dovrebbe avere) una visione, una missione, dei valori e un ruolo sociale. La startup è paragonabile ad un’operazione di borsa. Compro, vendo, ho vinto oppure ho perso.
Secondo Il Sole24ore però non tutti la pensano come, anzi. Le startup e le PMI innovative oggi sono più di 8mila, hanno un valore della produzione di oltre 2 miliardi e danno lavoro ad oltre 48mila persone. Fioriscono coworking, incubatori, acceleratori. Iniziano ad avere successo le piattaforme di crowdfunding, i fondi d’investimento, i business angel.
Ma infatti non voglio contrastare questo modello interessante. Abbiamo bisogno di innovazione ed abbiamo intelligenze e creatività in eccesso per realizzarla. Voglio solo che questo fenomeno venga distinto dalla creazione di nuove imprese. Sarò un nostalgico, affezionato agli studi di Becattini e Trigilia sui distretti industriali, ma credo che quello che serva all’Italia e all’Europa sia puntare nuovamente su quel modello che mescolava economia e società, dove a guidarci non era il ritorno sugli investimenti, dove le reti di impresa non erano contrattualizzate, ma sostanziali, dove c’era un’attenzione alla crescita e allo sviluppo delle competenze di un territorio. Un modello che generi nuovi posti di lavoro, non rendite finanziarie.
Create una startup, ma trasformatela velocemente in un’azienda.
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